(Commento dell’Avv. Federico D’Amelio)
Preso visione del Decreto Legge denominato “Cura Italia”, pubblicato in gazzetta ufficiale nottetempo, tra le tante criticità in esso rilevabili o da esso estrapolabili, una balza in particolare agli occhi di chi opera nel mondo dello sport: “a caldo” sembra che nessuna misura diretta andrà a sostenere gli atleti, ma, salvo precisazioni postume, si aiuteranno unicamente i “precari” dello sport e le società ed associazioni sportive.
In particolare i “precari” dello sport (principalmente collaboratori quali istruttori o tecnici) saranno destinatari di un contributo una tantum di euro 600,00 (nei limiti dei fondi disponibili) definito come “Indennità collaboratori sportivi” (v. art. 96). Si tratta di una misura straordinaria che mette a fuoco e tutela per la prima volta una variegata e ampia categoria di soggetti che a vario titolo (precario o atipico) lavorano nel mondo dello sport, senza essere iscritti all’assicurazione obbligatoria e alla gestione separata.
Dal canto loro, società e associazioni sportive potranno sospendere fino al 31/05/20 il versamento dei canoni di locazione e concessori relativi all’affidamento di impianti sportivi pubblici dello Stato e degli enti territoriali (art. 95 Decreto), oltre che sospendere fino alla medesima data i versamenti delle ritenute, dei contributi previdenziali e assistenziali, dei premi per l’assicurazione obbligatoria (art. 61) , e avranno accesso ai sostegni finanziari destinati alle piccole e medie imprese colpite dal Covid-19 compreso un credito di imposta per le spese di sanificazione degli ambienti di lavoro.
Certamente le suddette misure di sostegno delle società ed associazioni sportive si riverbereranno positivamente anche sui giocatori, che sperano di non vedere decurtati o trattenuti i loro compensi, evenienza già ipotizzata da alcuni Club a causa dei mancati incassi legati all’interruzione delle competizioni sportive ed al rallentato flusso di introiti vari e sponsorizzazioni.
Tuttavia, fermo restando l’apprezzamento per il grande e generale sforzo governativo di arginare il Covid-19 e di disinnescare il drammatico impatto della pandemia sull’economia nazionale (pure nel settore dello sport), è chiaro che c’è poco da stare sereni per coloro i quali calcano i campi da gioco per “lavoro” ma al di fuori della qualifica di “professionisti”.
Eh sì, sono invero migliaia gli atleti “dilettanti” (giocatori di rugby, pallavolisti, etc.) che “vivono di sport” (quantomeno quelli militanti in squadre delle categorie superiori), e, nella misura in cui i compensi elargiti da società ed associazioni sportive costituiscano la fonte di reddito prevalente o esclusiva, sarebbe giusto pensare di aiutare – direttamente – anche loro. O magari sarebbe il caso di precisare espressamente se essi rientrino o meno nel novero dei beneficiari dell’indennità ex art. 96 decreto.
Per chi non ne fosse edotto, gli atleti rientranti sotto la disciplina del professionismo sportivo, ai sensi e per gli effetti della legge 81/91, sono lavoratori a tutti gli effetti, godendo delle tutele previste dall’ordinamento giuridico, mentre gli atleti dilettanti non hanno gli stessi diritti, sebbene, in attesa dell’attuazione della tanto sospirata riforma del rapporto di lavoro sportivo (v. Legge n. 86 dell’8 agosto 2019), facciano dell’attività sportiva una vera e propria occupazione a tempo pieno.
Peraltro è da anni che, sia a livello dottrinario che giurisprudenziale, ha fatto breccia una linea interpretativa circa la natura lavorativa del rapporto sportivo (tra atleta e società o associazione sportiva), in forma subordinata o autonoma, ricorrendo i cd. “indici di subordinazione”.
Per esempio, cito una sentenza del Tribunale di Parma, Sezione lavoro, che nel 2013 riconobbe ad un giocatore di rugby la qualifica di lavoratore subordinato, con condanna della società sportiva a pagargli le differenze retributive e con conteggio delle debenze previdenziali rimesso all’INPS (vedi anche il mio articolo “Falso dilettantismo, agognato professionismo, vero lavoro”).
Risale poi al mese scorso la notifica presso il mio studio del decreto di chiusura del fallimento Aironi Rugby SSD, procedura che ho seguito personalmente lungo 7 anni presso il Tribunale di Mantova e all’esito della quale è stato eseguito (per la prima volta nella storia giudiziaria italiana) un piano di riparto ad esclusivo beneficio dei giocatori, con preferenza rispetto a tutti gli altri creditori in forza di un privilegio riconosciuto ex art. 2751 bis n. 1 c.c. (“Hanno privilegio generale sui mobili i crediti riguardanti: 1) le retribuzioni dovute, sotto qualsiasi forma, ai prestatori di lavoro subordinato…”).
Senza dilungarmi troppo su un tema così vasto e complesso, dove peraltro si impongono numerosi “distinguo”, mi sembra ad ogni buon conto iniquo che gli atleti dilettanti continuino a stare “tra terra e cielo”, tra realtà sostanziale e trasparenza formale, beniamini di tutti quando si tratta di scendere in campo e figli di nessuno quando si discorre di diritti e tutele.
Ma a ben vedere sembra essere proprio questa la situazione odierna, e, ancora una volta, perfino in presenza di una pandemia mondiale e letale, le cose continuano a restare immutate. Ecco che quindi i precari dello sport (per es. tecnici e istruttori) avranno la loro indennità una tantum, mentre i giocatori (i.e., lavoratori sportivi) delle associazioni e società sportive affiliate alle federazioni dilettantistiche, in mancanza di espresse indicazioni al riguardo, riceveranno… nulla.
Ricapitolando:
– è un dato certo che la maggior parte dei giocatori che siano “nazionali” e/o militino in Club partecipanti ai massimi campionati nazionali dei vari sport “dilettantistici” (semi-professionisti) traggono la propria fonte di reddito prevalente o esclusiva dall’attività agonistica;
– da parte della giurisprudenza, in relazione a varie fattispecie “esemplari” in cui si siano valutati ricorrere i cd. “indici di subordinazione”, si è accertato e dichiarato che certi atleti possono essere qualificati come lavoratori, e non come semplici amatori;
– lo Stato non ignora tale fenomeno, tanto da aver intrapreso la riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici nonché del rapporto di lavoro sportivo, volendosi introdurre la figura del semi-professionista sportivo (ovverosia una figura giuridica “mediana” tra il professionista e il dilettante tout court);
– malgrado ciò, ad oggi nulla è cambiato rispetto a quarant’anni fa (quando si introdusse il professionismo nello sport italiano) ed i giocatori dilettanti continuano ad essere figli di un Dio minore, privi di contribuzione previdenziale, di assicurazioni sociali, dei diritti tipici dei lavoratori;
– da ultimo, nel decreto legge “Cura Italia” del Governo, nell’azione ministeriale e in quella federale, non una sola parola chiara e univoca è stata spesa riguardo gli atleti che vivono dei proventi dell’attività sportiva e che dunque, nei fatti, sono “lavoratori sportivi”.
Ma in ogni caso, perché non si dovrebbe poter stabilire l’estensione dell’indennità prevista ex art. 96 Decreto anche in favore di chi sia legato a SSD e ASD da contratti tecnico-sportivi (i giocatori)? Anche gli atleti semi-professionisti non sono iscritti all’assicurazione obbligatoria e alla gestione separata, sono assoggettati fiscalmente all’art. 67, comma 1, lettera m) TUIR, e lavorano nello sport (al netto del significato letterale di “collaboratori” usato in decreto e nella relazione tecnica).
Auspico allora che il Ministro dello Sport Spadafora adotti con urgenza una politica coerente con le evoluzioni legislative del recente periodo, riconoscendo aiuti concreti riferiti al Covid-19 non soltanto alle associazioni e società sportive dilettantistiche, ma anche ai protagonisti dello sport, che giorno dopo giorno si allenano e giocano nei campionati organizzati dalle rispettive federazioni.
A stretto giro dovrebbero inoltre essere adottati vari DPCM, compreso uno dedicato al rilancio delle attività sportive nazionali a tutti livelli: mi aspetto che in esso si vada a contemplare anche la condizione degli atleti, inclusi quelli degli sport “di base”.
Invoco altresì una presa di posizione forte da parte delle Federazioni sportive dilettantistiche, e non solo nella direzione di dare più liquidità ai Club, ma anche nella direzione di aiutare gli atleti “semi-professionisti” in seria difficoltà economica.
Passando al concreto, e con ogni riserva di approfondimento, al di là dell’estensione dell’indennità summenzionata anche agli atleti, immagino varie possibili ed ulteriori soluzioni: la costituzione di un fondo per il pagamento dei compensi ai giocatori in proporzione agli importi contrattualizzati; l’imposizione di un “vincolo di destinazione” apposto agli aiuti concessi alle SSD e ASD, da indirizzare anche e soprattutto al pagamento di quanto dovuto al proprio “personale” ivi compresi i giocatori; la previsione di una defiscalizzazione dei compensi destinati agli atleti e/o all’aumento “ad hoc” della franchigia fiscale ad oggi vigente.
Insomma, non spetta al sottoscritto formulare ipotesi circa i modi di tutelare gli sportivi dilettanti/semi-professionisti, ma comunque, prima di ogni cosa, serve una precisa, forte e manifesta volontà di procedere in tal senso.
Avv. Federico D’Amelio
Membro di A.I.A.S – Associazione Italiana Avvocati dello Sport
Vice-presidente di G.I.R.A. – Giocatori d’Italia Rugby Associati
Consulente di atleti e società sportive