(Commento dell’Avv. Massimo Zuolo)
Preso ormai atto di un contesto emergenziale con il quale, volenti o nolenti, siamo tutti chiamati ad interagire, giorno dopo giorno sempre più consapevoli della gravità del momento che di sicuro è “storico”, ci si trova a dover letteralmente imparare un nuovo modo di gestione della quotidianità, che fino a pochissime settimane fa era del tutto impensabile.
La libertà di movimento, che contraddistingue naturalmente la nostra vita quotidiana e che diamo per scontata, viene oggi gravemente limitata.
E ciò in nome della salute collettiva, costituzionalmente tutelata (art. 32 Cost.), che in tale contesto prevale (e deve prevalere) sul diritto alla libera circolazione del cittadino, parimenti tutelato dalla nostra Carta Costituzionale (art 16 Cost.).
Ciò detto, viene spontaneo chiedersi, a questo punto, non tanto cosa sia ancora consentito fare al cittadino, bensì cosa oggi sia espressamente vietato, fino a quando e, soprattutto, con quali conseguenze giuridiche in caso di violazione delle nuove disposizioni emanate ad hoc.
Quindi qui di seguito esprimo un contributo, seppur minimo e senza pretese di esaustività, per fare chiarezza.
A tutela della salute pubblica, dal 31 gennaio 2020 ad oggi il Governo ha emanato ben 14 provvedimenti (tra Decreti Legge e Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), oltre ad una ventina e oltre di ordinanze emanate dai vari Ministeri (delle Finanze, della Salute) e dal Dipartimento della Protezione Civile.
Il tutto ha avuto inizio con il D.P.C.M. del 31 gennaio 2020, con il quale il Governo ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili.
In seguito è intervenuto il Decreto Legge n. 6 del 23 febbraio 2020, il “capostipite” delle misure urgenti in materia di contenimento dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, sulla scorta del quale le competenti Autorità sono state dotate del potere/dovere di adoperare ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica, tra quelle indicate nel comma 2 dell’art. 1 del D.L. 6/2020.
Fin qui la normativa “emergenziale” di principio.
Con il D.P.C.M. dell’1 marzo 2020, sono state istituite (ad oggi venute meno in virtù dell’art. 5 comma 4 del D.P.C.M. dell’8 marzo 2020) le prime c.d. “Zone Rosse” (Bertonico, Casalpusterlengo, Castelgerundo, Castiglione D’Adda, Codogno, Fombio, Maleo, San Fiorano, Somaglia, Terranova dei Passerini, Vò Euganeo), con divieto ai cittadini di entrare/uscire dal proprio Comune e con sospensione di tutte le attività scolastiche, sportive, pubbliche (salvo quelle sanitarie e di prima necessità), commerciali e simili.
Visto l’aggravarsi dell’emergenza, però, il vero giro di vite è arrivato alla volta dell’8, del 9 e dell’11 marzo 2020, allorquando in rapida successione il Presidente del Consiglio dei Ministri ha stilato ben tre Decreti in 4 giorni, oltre all’ultimo in ordine di tempo del 22 marzo 2020.
Il D.P.C.M. dell’8 marzo, all’art. 1, istituiva le c.d. “Zone Arancioni” individuate nelle aree della Regione Lombardia e di varie Provincie in Piemonte (Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli), Emilia-Romagna (Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini), Marche (Pesaro Urbino) e Veneto (Padova, Venezia e Treviso).
Vale a dire che fino al 3 aprile 2020 per i cittadini residenti e aventi la propria attività/occupazione in dette aree sono imposte le seguenti prescrizioni:
a) evitare la circolazione. I cittadini si possono muovere in detti territori solo per comprovate esigenze lavorative, per situazioni di necessità o per motivi di salute;
b) è raccomandato ai soggetti che presentino sintomi influenzali di non uscire dal proprio domicilio;
c) è fatto assoluto divieto di uscire dalla propria abitazione/dimora a coloro che sono sottoposti alla misura della quarantena o che risultino positivi al virus.
Oltre a queste:
- sono sospesi gli eventi e le competizioni sportive di ogni ordine e disciplina, in luoghi pubblici o privati, salvo che per gli atleti professionisti o simili, con obblighi in capo alle associazioni e alle società sportive di effettuare i controlli idonei a contenere il rischio di diffusione del virus;
- sono sospese le attività di palestre, centri sportivi, piscine, centri benessere, termali, ricreativi e sono chiusi gli impianti nei comprensori sciistici;
- è raccomandato ai datori di lavoro di far fruire ai propri dipendenti di ferie o di strumenti alternativi alla presenza del lavoratore sul luogo di lavoro (c.d. lavoro agile);
- sono sospese le attività di grandi eventi, cinema, teatri, pub, scuole di ballo, sale giochi, sale scommesse e sale bingo, discoteche e locali assimilati;
- sono sospesi i servizi educativi per l’infanzia e delle scuole
di ogni ordine e grado, - l’apertura dei luoghi di culto è condizionata all’adozione di misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone e sono sospese le cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri;
- sono chiusi i musei e simili;
- erano consentite (ma non più, con il D.P.C.M. 11/3/2020) le attività di ristorazione e bar dalle 6.00 alle 18.00, con obbligo, a carico del gestore, di predisporre le condizioni per garantire la possibilità del rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro, con la sanzione della sospensione dall’esercizio dell’attività in caso di violazione;
- erano consentite (ma non più, con il D.P.C.M. 11/3/2020) le attività commerciali diverse da quelle di cui sopra a condizione che il gestore garantisse un accesso ai predetti luoghi con modalità contingentate o comunque idonee a evitare assembramenti di persone, con sanzione della sospensione dell’attività in caso di violazione. In presenza di condizioni strutturali o organizzative che non consentissero il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di un metro, le richiamate strutture avrebbero dovuto essere chiuse;
- nelle giornate festive e prefestive sono state chiuse le medie e grandi strutture di vendita, nonché gli esercizi commerciali presenti all’interno dei centri commerciali e dei mercati. Nei giorni feriali, il gestore dei richiamati esercizi deve comunque predisporre le condizioni per garantire la possibilità del rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di un metro con sanzione della sospensione dell’attività in caso di violazione. In presenza di condizioni strutturali o organizzative che non consentano il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di un metro le strutture devono essere chiuse. La chiusura non è stata disposta per farmacie, parafarmacie e punti vendita di generi alimentari, il cui gestore è chiamato a garantire comunque il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di un metro, con sanzione della sospensione dell’attività in caso di violazione.
Come detto tutte le limitazioni indicate dall’art. 1 del D.P.C.M. 8 marzo 2020 restano in vigore nelle c.d. “Zone Arancioni” del territorio nazionale fino alla data del 3 aprile 2020.
Il D.P.C.M. del 9 marzo 2020, all’art. 1, ha esteso a tutto il territorio nazionale le misure già introdotte dal D.P.C.M. 8 marzo 2020 e ciò fino alla data del 3 aprile 2020 (salvo proroga).
Il D.P.C.M. dell’11 marzo 2020, all’art. 1, ha imposto l’ulteriore e ancor più stringente misura, sull’intero territorio nazionale, di sospensione di tutte le attività commerciali al dettaglio, salvi i negozi di vendita di generi alimentari e di prima necessità e le farmacie e parafarmacie, tabaccai (salva la distanza di sicurezza di un metro).
Sono chiusi i mercati, le attività di ristorazione e bar (salvo quelli ubicati in autostrade, stazioni e aeroporti), le attività inerenti i servizi alla persona (fra cui parrucchieri, barbieri, estetisti).
Permangono aperti, nel rispetto delle norme igienico-sanitarie, i servizi bancari, finanziari, assicurativi nonchè le attività del settore agricolo, zootecnico di trasformazione agro-alimentare incluse le filiere che ne forniscono beni e servizi.
Come già disposto dal D.P.C.M. dell’8 marzo 2020, con riferimento alle attività produttive e professionali, ove non sospese (fino all’adozione del D.P.C.M. 22/3/2020), è comunque raccomandato di:
- attuare il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile;
- incentivare le ferie e i congedi retribuiti per i dipendenti;
- sospendere le attività dei reparti aziendali non indispensabili alla produzione;
- assumere protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro come principale misura di contenimento, adottare strumenti di protezione individuale;
- incentivare le operazioni di sanificazione dei luoghi di lavoro;
- per le sole attività produttive è in ogni caso raccomandato limitare al massimo gli spostamenti all’interno dei siti e contingentare l’accesso agli spazi comuni.
Nelle more, proseguendo l’adozione di restrizioni tese a contrastare e a contenere la diffusione del virus Covid-19, è stato emanato da ultimo il D.P.C.M. del 22 marzo 2020 il quale, all’art. 1, ha disposto la sospensione di tutte le attività produttive industriali e commerciali, salvo:
- le attività professionali;
- le attività produttive relative al settore alimentare e agroalimentare, nonché quelle funzionali ad assicurare la continuità delle relative filiere di produzione;
- le attività relative a servizi di pubblica utilità e dei servizi essenziali di cui alla L. 12/06/1990, n. 146, previa comunicazione al Prefetto;
- l’attività di produzione, trasporto, commercializzazione e consegna di farmaci, tecnologia sanitaria e dispositivi medico-chirurgici e di ogni attività comunque funzionale a fronteggiare l’emergenza;
- le attività degli impianti a ciclo produttivo continuo, dalla cui interruzione derivi un grave pregiudizio all’impianto stesso o un pericolo di incidenti, previa comunicazione al Prefetto;
- le attività di rilevanza strategica per l’economia nazionale;
- ogni altra attività rientrante tra quelle elencate nell’allegato 1 o quelle funzionali ad assicurare la continuità delle relative filiere di produzione;
Le imprese le cui attività non sono sospese, sono chiamate a rispettare i contenuti del protocollo tra il Governo e le parti sociali di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus covid-19 negli ambienti di lavoro del 14 marzo 2020.
Invece, le imprese le cui attività sono sospese per effetto del decreto, sono autorizzate a completare le attività necessarie alla sospensione entro il 25 marzo 2020, compresa la spedizione della merce in giacenza. In ogni caso, le attività produttive che sarebbero sospese ai sensi del D.P.C.M. 22/3/2020 possono comunque proseguire se organizzate in modalità “a distanza” o “di lavoro agile”.
Da ultimo, l’art. 1, lett. b) del D.P.C.M. 22/3/2020 ha ristretto ulteriormente i limiti alla libera circolazione delle persone sull’intero territorio nazionale, vietando “a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, in un comune diverso rispetto a quello in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute; conseguentemente all’articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020 le parole «. È consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza» sono soppresse”, a ciò conformando le ordinanze del Ministero della Salute del 20/3/2020 e del 22/3/2020.
A completamento va evidenziato che l’art. 2 del D.P.C.M. 22 marzo 2020 ha prorogato fino al 3 aprile 2020 le restrizioni di cui al D.P.C.M. dell’11 marzo 2020 relativo alla sospensione dell’esercizio delle attività commerciali “al dettaglio”, allineandole al termine di efficacia delle limitazioni alla libera circolazione delle persone su tutto il territorio nazionale (salvo proroga).
Tutto ciò, al netto di eventuali ordinanze adottate dai Presidenti delle Giunte regionali le quali, pur nel solco della normativa di rango superiore nazionale, possono comportare ulteriori limitazioni alla libertà di circolazione e di svolgimento di attività nel territorio e nelle materie di competenza.
Esaurita la ricostruzione del compendio normativo, va ora posta l’attenzione alle conseguenze giuridiche che possono derivare in capo a chi non si attenga alle prescrizioni governative, che possono rilevare almeno sotto tre profili.
Il primo attiene alla concreta configurabilità, in capo al cittadino che non si attenga alle prescrizioni sopra descritte, del reato di inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità, previsto dall’art. 650 C.P..
Tale evenienza è espressamente e direttamente richiamata dagli artt. 3, comma 4, D.L. 23 febbraio 2020 n. 6, e art 4, comma 1, del DPCM 8 marzo 2020, i quali avvertono che l’inosservanza dei precetti indicati sarà perseguita penalmente proprio ai sensi dell’art. 650 C.P., che prevede “Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino a € 206,00”.
Va subito detto che si versa nel campo dei reati di tipo contravvenzionale.
Il che significa che, seppur di tono minore rispetto ai c.d. “delitti” (fattispecie penale di natura più grave), la condotta violativa potrà dare luogo ad un procedimento penale a tutti gli effetti che, in caso di condanna, sarà suscettibile di recare pregiudizio al Certificato Penale.
In tal caso sarà bene, rivolgendosi al proprio legale di fiducia o d’Ufficio, aver cura di opporre l’eventuale Decreto Penale entro il termine di 15 giorni dalla sua notifica e, in ogni caso, di domandare di essere ammesso alla c.d. “oblazione”, mediante il pagamento di una somma corrispondente alla metà del massimo dell’ammenda (ovvero € 206/2= € 103,00) ai sensi e per gli effetti dell’art. 162 bis del Codice Penale.
Conseguentemente, con il pagamento della somma di cui sopra, il reato sarà dichiarato estinto e la fedina penale del soggetto resterà senza pregiudizio.
Va ulteriormente precisato però che, diversamente dall’oblazione ordinaria in cui il contravventore è ammesso di diritto a fruire della misura estintiva, nel caso di specie si verserebbe nella c.d. “oblazione punita con pene alternative” (di cui all’art. 612 bis) e, pertanto, sarà demandato alla discrezionalità del Giudice la decisione sulla relativa domanda.
Il secondo profilo concretamente rilevante si può verificare ove il soggetto renda (mediante l’autocertificazione – come da modello aggiornato al 20 marzo 2020) una dichiarazione non vera con riferimento: alle necessità che sottendono allo spostamento nel territorio nazionale; al fatto di non essere sottoposto alla misura della quarantena; al fatto di non essere risultato positivo al test virus Covid-19.
Tale evenienza è suscettibile di rientrare nel novero delle dichiarazioni mendaci rilasciate al Pubblico Ufficiale, di cui all’art. 495 C.P., il quale prevede che “Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni”, nonché l’arresto facoltativo in flagranza di reato, come indicato dall’art. 381, co. 1 lett. m, C.p.p..
Ebbene, trattasi di fattispecie di reato avente natura di “delitto” e, quindi, ben più grave rispetto a quella dell’art. 650 C.P.. È inoltre delitto che richiede il solo dolo “generico” e, quindi, per la sua punibilità è sufficiente la mera coscienza e volontà della condotta tenuta.
Per meglio comprendere i profili di applicabilità della fattispecie di cui all’art. 495 C.P., si rammenta che:
- per “Pubblico Ufficiale” (art. 357 C.P.) si intendono coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. È considerata pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi;
- per “identità” di un soggetto si intendono le generalità e quant’altro valga ad identificarlo;
per “stato” di una persona si intende la sua condizione all’interno di una comunità; - per le “altre qualità della propria persona”, la Suprema Corte di Cassazione le descrive quali “attributi e modi di essere che servono ad integrare l’individualità di un soggetto e, cioè, sia le qualità primarie, concernenti l’identità e lo stato civile delle persone, sia le altre qualità che pure contribuiscono ad identificare le persone, quali la professione, la dignità, il grado accademico, l’ufficio pubblico ricoperto, una precedente condanna e simili.” (Cass. pen. Sez. V Sent., 05/03/2019, n. 19695)
Si potrebbe di primo acchito obiettare che le motivazioni (nel caso non siano veritiere), contenute all’interno del modulo di autocertificazione, poco o nulla abbiano a che vedere con le generalità, lo stato o le qualità della persona.
In realtà, è bene sapere che, secondo la Suprema Corte, ai fini dell’art. 495 C.P., “è necessario che la dichiarazione del privato sia rilevante in relazione alla funzione o al servizio esercitato dal destinatario dell’informazione falsa” (Cass. pen. Sez. V Sent., 30/03/2016, n. 16725)
Ebbene, da ciò è dato comprendere che, vista la finalità dell’autocertificazione (e delle motivazioni in esso contenute), tesa a “scriminare” il comportamento del cittadino che si “sposti” all’interno del territorio nazionale contro gli espressi divieti, è probabile che le dichiarazioni in esso contenute finiscano per rientrare nell’alveo delle c.d. “altre qualità della propria persona”. Ciò in quanto le dette motivazioni costituiscono veri e propri stati di necessità (preventivamente predeterminati) i quali, solo ove realmente sussistenti, consentono al cittadino gli spostamenti che altrimenti, diverrebbero contra legem.
Il terzo e ultimo profilo, è relativo al caso in cui qualcuno circoli ugualmente, nonostante sia risultato positivo al test del virus Covid-19 o si trovi comunque sottoposto alla misura della quarantena.
In tal caso le ipotesi astrattamente configurabili sono le più diverse:
- lesioni o tentate lesioni volontarie, previsto e punito agli artt. 582 e ss. e 56 C.P., per cui “Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”;
- delitti colposi contro la salute pubblica, di cui all’art. 452 C.P., per il quale “Chiunque commette, per colpa, alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 438 e 439 è punito: 1. con la reclusione da tre a dodici anni, nei casi per i quali le dette disposizioni stabiliscono la pena di morte; 2. con la reclusione da uno a cinque anni, nei casi per i quali esse stabiliscono l’ergastolo; 3. con la reclusione da sei mesi a tre anni, nel caso in cui l’articolo 439 stabilisce la pena della reclusione”;
- epidemia (dolosa), previsto e punito dall’art. 438 C.P., secondo cui “chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l’ergastolo.”;
e tutto ciò salvo circostanze aggravanti o conseguenze diverse e ulteriori.
Per meglio comprendere la concreta portata della fattispecie relativa all’art. 438 C.P. (epidemia), soccorre una pronuncia della Suprema Corte secondo la quale “Il reato di epidemia è configurabile nel caso in cui la diffusione dei germi patogeni, che in astratto possono essere trasmessi anche per contatto umano, raggiunga un numero indeterminato di persone, in tempi rapidi, nel medesimo luogo, con capacità di agevole successiva espansione. (Fattispecie, in cui l’agente ha contagiato oltre trenta persone, avendo rapporti sessuali non protetti, nonostante avesse consapevolezza della propria sieropositività).” (Cass. pen. Sez. I, 30/10/2019, n. 48014)
Come è dato evincere, quindi, in simili ipotesi l’elemento soggettivo (dolo o colpa) con il quale la persona agisce, riveste particolare importanza nell’addebito dell’eventuale responsabilità, perché, se per un verso la condotta posta in essere debba comunque essere concretamente valutata alla stregua della sua idoneità a mettere in pericolo il bene giuridico protetto (la salute collettiva), ciò che spicca è la particolare gravità del grado di colpevolezza del reo il quale, nella piena consapevolezza delle proprie condizioni cliniche, pone deliberatamente (con coscienza e volontà) in essere un comportamento potenzialmente devastante per la collettività.
Ciò è quanto ritengo utile evidenziare e portare a conoscenza dei nostri assistiti, poichè in un momento storico in cui la libertà di circolazione della persona è fortemente “limitata” in virtù della legislazione eccezionale e urgente adottata dal Governo per tutelare il bene costituzionale della salute collettiva, le conseguenze penali dovute all’inosservanza di tali norme (lo si rammenta, dal carattere temporaneo) hanno assoluto rilievo, spaziando da ipotesi meramente contravvenzionali, a reati per i quali è prevista anche la pena dell’ergastolo.
Padova, 23 marzo 2020
Avv. Massimo Zuolo