(Commento dell’Avv. Federico D’Amelio)
La normativa emergenziale, alla quale negli ultimi mesi ci stiamo giocoforza abituando, ha portato una serie di “novità” che potrebbero lasciare il segno su certe dinamiche del funzionamento della macchina della Giustizia.
Credo a tal riguardo che sarebbe opportuno un maggior approfondimento tecnico-giuridico prima di “sdoganare” taluni meccanismi processuali, tenendo a mente i fondamentali principi del nostro ordinamento e volendo scongiurare un possibile snaturamento del processo civile.
Passando al tema in oggetto, continuo a trovarmi in una certa difficoltà professionale al cospetto della trattazione scritta dell’udienza ex articolo 83, comma 7, lettera h), del Decreto Cura Italia n. 18 del 17/03/2020 (convertito in legge 24 aprile 2020, n. 27, con modifiche).
Tale norma prevede, per assicurare la finalità di contrastare l’emergenza epidemiologica Covid 19 e per contenere gli effetti negativi della pandemia sullo svolgimento dell’attività giudiziaria, che fino al 30 giugno gli uffici giudiziari possano varare la misura dello “svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti mediante lo scambio il deposito telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni e la successivo adozione fuori udienza del provvedimento del giudice”.
Nelle intenzioni tale misura porta alla possibilità di dispensare gli Avvocati dalla partecipazione alle udienze, in costanza del rischio di contagio, quantomeno in quelle che possono (teoricamente) svolgersi senza un “compresente” contraddittorio delle parti (chiamate possibilmente ad accettare tale modalità).
Come sovente accade nel nostro Paese, però, da una genuina e motivata esigenza si è rapidamente approdati ai porti insicuri dell’arbitrio interpretativo: a seconda della lettura normativa da parte dei Giudici tenuti ad applicare concretamente l’art. 83, comma 7, lettera h), Decreto cit., ma anche e soprattutto in ragione delle strategie difensive degli Avvocati, si ci si può trovare di fronte a scenari disparati.
Volendo portare la mia esperienza personale, segnalo che il più delle volte – in caso di trattazione scritta dell’udienza – mi è capitato di trovare caricate nel fascicolo telematico note scritte costituenti, né più né meno, che corpose memorie non autorizzate. In tali scritti ho ritrovato digressioni giuridiche e deduzioni nel merito che mi hanno messo in difficoltà, posto che io, invece, in un primo momento, depositavo note sintetiche e schematiche rigorosamente limitate alla reiterazione delle “sole istanze e conclusioni”.
A Roma, per esempio, mi sono visto notificare via Pec dal Tribunale civile una sentenza all’esito di udienza ex art. 281 sexies cpc, svolta in forma scritta ex art. 83 Decreto cit., avvedendomi – “a cose fatte” – delle note di controparte (naturalmente caricate all’ultimo minuto) costituite di ben 23 pagine intrise di ogni tipo di improvvisazione difensiva, rimaste di fatto prive di contestazione.
Mi è successo in altri casi che i Giudici abbiano dichiaratamente utilizzato la forma di trattazione scritta dell’udienza al mero scopo di determinarsi in ordine alle modalità e tempi di successivo svolgimento del processo. In ispecie, le parti sono state espressamente invitate a depositare note sintetiche e schematiche esclusivamente incentrate sulla reiterazione di eccezioni, istanze e domande. La parentesi dell’udienza in forma scritta, in tali circostanze, ha rappresentato un’occasione di traghettamento del processo da una fase ad un’altra, senza “sorprese” sul piano del contraddittorio e del regolare corso della causa.
D’altra parte, a tutto voler concedere, chi, tra i Colleghi, in mancanza dell’“altolà” preventivo del Magistrato sulla misura e natura delle note, si sentirebbe al sicuro nel sostituire ad una trattazione o discussione orale il deposito di chiose scritte contenenti la mera reiterazione di “istanze e conclusioni”?
Nell’incertezza, tuttavia, non può prendere il via un deposito di comparse o note conclusive “come se non ci fosse un domani”, con un profluvio di deduzioni difensive e di assi calati dalla manica all’ultima mano della partita processuale. A maggior ragione nel caso in cui il Togato non abbia ritenuto, in precedenza, di concedere termini a ritroso per il deposito delle comparse/note conclusive prima di un’udienza di trattazione o di discussione.
Mi smentisco però nel segnalare che io stesso, in una causa di lavoro, ho approfittato (lo scrivo con un certo disagio) delle note scritte ex art. 83 Decreto cit., per proporre delle argomentazioni nel merito a mio dire fondamentali e che, secondo me, il Giudice non aveva colto. E con sommo disappunto delle controparti, grazie a dette note scritte ho ottenuto non, come mi aspettavo, un dispositivo di rigetto delle domande (i.e., pagamento di differenze retributive), ma un provvedimento di rimessione in istruttoria per dare ingresso ad una CTU estimativa del danno. Nel soggetto caso, il G.L. ha così indicato, nel provvedimento: “avendo avuto modo di rileggere gli atti… decide di rimettere in istruttoria…”.
Confesso, quindi, che se da una parte mi sono trovato talvolta caricato nel fascicolo telematico (il giorno prima dell’udienza, o magari quello stesso o quelli dopo) un corposo e voluminoso atto di controparte (alla stregua di una conclusionale), dall’altra io stesso ho estemporaneamente deviato dal (chiaro) tenore letterale della norma de qua per crearmi varchi difensivi insperati e altrimenti preclusi.
Ma, in definitiva, in occasione della trattazione scritta dell’udienza ex art. 83, comma 7, lettera h), decreto Cura Italia, vale tutto? E’ corretto aprire delle parentesi sub-procedimentali nell’ambito di cause che hanno già avuto un proprio rituale corso, al di fuori dalla logica sottesa alla norma emergenziale in esame?
A conti fatti dovrebbero essere i Giudici a “dirigere il traffico”, e laddove valutassero che la ratio dell’art. 83 cit. fosse stata disattesa dalle parti, dovrebbero porvi rimedio: ma ciò, nella mia limitata esperienza, non accade, quasi sempre si lascia correre.
Al netto del contegno di certi Colleghi “smaliziati”, che approfittano del termine ex art. 83 cit. per depositare corpose note memorie (ut supra), magari introducendo argomentazioni difensive nuove se non addirittura formulando eccezioni, istanze e domande inedite, sostengo che servirebbe un maggiore rigore da parte degli uffici giudiziari nell’imporre una trattazione scritta di udienza entro i circoscritti limiti previsti testualmente.
E alcuni uffici giudiziari, ad onor del vero, sono assai rigorosi: per esempio, la Corte d’Appello di Bologna ha avuto modo di precisarmi che le note scritte dovevano tassativamente contenere la sola precisazione delle conclusioni, mentre un Tribunale del lavoro veneto mi ha addirittura indicato un limite quantitativo per le note (non più di quattro pagine) autorizzando peraltro brevi cenni sintetici nel merito della causa. Ancora una volta si è deviato dallo schema dell’art. 83 pluricitato, ma, almeno, in dette occasioni le regole dell’udienza in forma scritta sono state palesate in modo inequivocabile per tutti i contraddittori processuali.
Mi viene da considerare che vedere scongiurata la partecipazione fisica ad udienze interlocutorie, innocue per l’esercizio del diritto alla difesa, è senz’altro cosa buona e giusta per chiunque si ritrovi succube di un’agenda giudiziale nutrita. E però, oggi come oggi, ogni qualvolta venga comunicato un provvedimento di fissazione della trattazione scritta dell’udienza, ci si trova inevitabilmente a calendarizzare la scrittura di vere e proprie memorie, ciò che rappresenta un fattore distorsivo della faccenda.
Senza indugiare sui casi pratici, mi sovviene il sospetto che il principio dell’oralità del processo sia in procinto di essere polverizzato, rappresentando la normativa emergenziale l’occasione per un cambio di rotta (già pianificato) verso i lidi di una forma eminentemente scritta.
Per vero, siamo già da tempo, noi Avvocati, alle soglie del totale svilimento delle attitudini argomentative orali, delle tecniche oratorie e di persuasione, risalenti ad una visione romantico del processo di impronta latina e che risultano palesemente indigeste ai Magistrati.
A mio modesto avviso non ci si deve però dirigere (per inerzia) nella direzione di trasfigurare l’attuale processo – al di fuori peraltro di un percorso legislativo ordinario – in una sorta di meccanica scansione di atti e verbali predisposti, che approdi ad una pronuncia conclusiva scollegata da elementi di giudizio importanti, quali, per esempio, il contatto diretto con le persone/parti.
Andrebbe piuttosto “sfruttata” la situazione emergenziale per cercare di agevolare la spedita celebrazione dei processi mediante passaggi del rito agili e funzionali, ma pur sempre restando nei binari odierni del codice di procedura civile.
Quantunque, una volta cessata l’epidemia, si ritenesse di standardizzare il modello di trattazione scritta delle udienze, arrivando finanche a sostituire l’esperimento delle prove orali con il deposito di dichiarazioni testimoniali scritte, si dovrà assolutamente affrontare un lavoro di impostazione ed un percorso di maturazione giuridica, interpellando tutti gli operatori della giustizia nelle sedi deputate, altro che decretazione d’urgenza.
Certi scenari di digitalizzazione e spersonalizzazione del processo civile, mi sembrano futuristici (in un’accezione negativa) e fors’anche pericolosi. Personalmente rifuggo una visione di Avvocati ghostwriter che caricano a sistema atti-gettone presso Tribunali jukebox, i quali sfornano asetticamente provvedimenti e sentenze. Tanto varrebbe, piuttosto, ricorrere direttamente ad un processo regolato dall’intelligenza artificiale. Ma per fortuna, allo stato, queste mie ultime considerazioni rappresentano solo fantasie.