(Commento dell’Avv. Federico D’Amelio)
I tagli ai compensi dei giocatori in tempi pandemia di Covid-19 rischiano di avere un seguito inaspettato, quantomeno per quelle società sportive che pensavano (talvolta su input delle stesse Federazioni) che la “forza maggiore” giustificasse ogni decisione e azione unilaterale.
Non è proprio così. Il virus inizia ad indebolirsi, i contagi sono in calo, e quindi tutti gli sportivi anelano a ritornare a calcare i campi di gioco. Le società sportive, al netto dei costi per le sanificazioni e le misure di sicurezza, vogliono la stessa cosa, seppure per ragioni parzialmente diverse.
Peccato, però, che quelli che ora dovrebbero tornare ad allenarsi sono gli stessi che, nelle settimane trascorse, si sono visti “sforbiciare” dai loro Club gli emolumenti stabiliti nei contratti tecnico-sportivi, quasi che ci fosse un obbligo morale di compartecipare al pregiudizio societario.
Ma la situazione sta mutando, perché la “controprestazione sportiva”, per l’appunto, viene nuovamente richiesta (anche solo in forma di allenamenti). Cosa potrebbe succedere, adesso? Cambiano forse gli equilibri? Per rispondere, ritengo di muovere i passi dallo scenario peggiore, ovverosia quello di una crisi pre-fallimentare.
Per vero, la “forza maggiore” se da una parte può giustificare la sospensione della prestazione ovvero un riadeguamento delle previsioni negoziali, e/o può portare alla risoluzione o al recesso dal contratto, dall’altra essa non giustifica tout court l’insolvenza delle società sportive ai fini della legge fallimentare.
Rammento che il nuovo Codice della crisi d’impresa, a seguito dell’emergenza sanitaria, entrerà in vigore il 1/9/2021 (v. art. 5 D.L. n. 23/2020, che modifica il c. 1, dell’art. 389 del D.Lgs. 12/1/19, n. 14). Siamo peraltro in attesa della normativa di attuazione della Dir. UE 1023/19 sulla ristrutturazione preventiva delle imprese.
Per almeno un anno ancora, dunque, continuerà ad applicarsi l’attuale legge fallimentare, ed è lo stesso D.L. n. 23/2020 a sancire, all’art. 10, che dopo il 30 giugno essa troverà ordinaria applicazione (dal 9 marzo al 30 giugno 2020 ricorre una causa di improcedibilità delle istanze di fallimento).
Ecco che, non ammettendo l’attuale assetto normativo alcuna eccezione (neppure la tanto evocata “forza maggiore”) a giustificazione dell’insolvenza, le società sportive potrebbero trovarsi (non avendo perfezionato accordi specifici sui tagli ai compensi dei giocatori) in una situazione “letale”.
Esse rischiano, infatti, di subire procedure arbitrali o monitorie da parte dei giocatori (soprattutto quelli colpiti da tagli non commisurati alla crisi societaria), magari approdandosi ad istanze di fallimento che non troverebbero preclusione nello stato di crisi determinato (o aggravato) dall’emergenza sanitaria.
Con spirito di leale collaborazione, giuridica e sportiva, è dunque opportuno che si trovi subito un componimento bonario sul pregresso, funzionale alla ripresa dell’attività, in particolare tra società sportive e giocatori che non abbiano “accettato” espressamente le decurtazioni subite.