(Commento a cura dell’Avv. Massimo Zuolo)
La normativa emanata da Governo e Parlamento prosegue nella propria evoluzione con il
Decreto Legge n. 19 del 25 marzo 2020 che, abrogando il precedente D.L. n. 6 del 23 febbraio
2020 (convertito con modifiche dalla Legge n. 13 del 5 marzo 2020), fornisce un elenco rinnovato
più nella forma che nella sostanza – delle misure restrittive adottabili dall’Autorità e, soprattutto,
ridisegna completamente le sanzioni originariamente stabilite per il caso di inosservanza delle
prescrizioni imposte al fine di contenere la diffusione epidemiologica in corso.
In particolare, fino al 25 marzo 2020 l’art. 3, comma 4, del D.L. n. 6/2020 e l’art. 4, comma
2, del D.P.C.M. dell’8 marzo 2020, prevedevano che “salvo che il fatto non costituisca più grave
reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è punito ai sensi
dell’art. 650 del codice penale”, confermando pertanto che la violazione delle misure di
contenimento integrava a tutti gli effetti il reato di inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità
(art. 650 C.P.).
A decorrere dal 26 marzo, invece, l’art. 4, comma 1, del Decreto Legge n. 19 (che abroga
il D.L. n. 6) prevede espressamente che: “Salvo che il fatto costituisca reato, il mancato rispetto
delle misure di contenimento di cui all’articolo 1, comma 2, individuate e applicate con i
provvedimenti adottati ai sensi dell’articolo 2, comma 1, ovvero dell’articolo 3, è punito con la
sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 400 a euro 3.000 e non si
applicano le sanzioni contravvenzionali previste dall’articolo 650 del codice penale o da ogni
altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità, di cui all’articolo 3, comma 1.
Se il mancato rispetto delle predette misure avviene mediante l’utilizzo di un veicolo le
sanzioni sono aumentate fino a un terzo.”
Dalla lettura della norma, quindi, emerge l’inequivoca volontà del Governo di depenalizzare
tutta quella serie di comportamenti violativi delle misure di contenimento in essere (indicate
dall’art. 1 del D.L. n. 19), escludendoli espressamente dalla fattispecie di reato prevista dall’art.
650 C.P. e punendoli con la sola sanzione amministrativa (da € 400,00 fino a € 3.000,00), di
per sé più lieve nella sua natura ma ben più pesante rispetto all’ammenda prevista per il reato di
inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità (art. 650 C.P. – da € 20,00 fino ad € 206,00).
Il decreto prosegue poi nel senso di estendere la depenalizzazione anche alle violazioni
commesse anteriormente al 26 marzo 2020, seppur con applicazione delle sanzioni
amministrative nella misura minima ridotta alla metà, come prevede il comma 8 dell’art. 4 D.L.
n. 19/2020.
Inoltre è prevista la sanzione amministrativa accessoria “della chiusura dell’esercizio o
dell’attività da 5 a 30 giorni”, a carico di soggetti esercenti le attività di cinema, teatri e gestione
di luoghi di assembramento (lett. i), palestre, piscine e centri sportivi in genere (lett. m), servizi
educativi e scuole (lett. p), attività commerciali di vendita al dettaglio (lett. u), attività di
somministrazione al pubblico di bevande e alimenti (lett. v), attività d’impresa o professionali (lett.
z), mercati (lett. aa), laddove non rispettino le misure di contenimento a loro imposte (art. 4,
comma 2, D.L. n. 19/2020).
Se necessario, ove la violazione prosegua o sia reiterata, l’Autorità procedente può disporre
la chiusura provvisoria dell’attività per un massimo di gg. 5 in attesa della sanzione irrogata in via
definitiva dal Prefetto (o dall’Autorità che ha disposto la misura). Se poi detta violazione viene
ulteriormente ripetuta, la sanzione amministrativa è raddoppiata e quella accessoria è applicata
nella misura massima.
Da ultimo, il comma 3 dell’art. 4 D.L. n. 19/2020 chiarisce che l’accertamento delle
violazioni delle misure di contenimento avverrà secondo i criteri di cui alla Legge 689/81 e le
relative sanzioni saranno irrogate dal Prefetto (se le disposizioni derivino da un Decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri) o dall’Autorità che le ha disposte.
Ai sensi dell’art. 202, commi 1, 2 e 2 bis, del Codice della Strada, è stato comunque
ammesso il pagamento in misura ridotta qualora avvenga entro 5 gg. dalla contestazione del
fatto.
Orbene, la scelta di depenalizzare – in relazione alla previsione dell’art. 650 C.P. – le
condotte violative delle misure di contenimento adottate costituisce una brusca inversione di
marcia rispetto alla previsione precedente ed è preordinata ad almeno un duplice ordine di
finalità.
In primo luogo è stato ritenuto che il cittadino sarà maggiormente indotto al rispetto delle
imposizioni emergenziali, perchè la prospettiva di essere immediatamente sanzionato
dall’accertatore e, soprattutto, di dover corrispondere in tempi brevi la relativa sanzione
amministrativa (di entità non secondaria) dovrebbe costituire un maggior effetto deterrente
rispetto all’irrogazione di una pena che, diversamente, sarebbe stata comminata dopo molto
tempo.
In secondo luogo, la depenalizzazione della condotta inevitabilmente avrà importanti effetti
deflattivi rispetto alla grande quantità di procedimenti penali che avrebbero pesantemente
gravato ed intasato gli uffici giudiziari.
Va però evidenziato che permane una espressa ipotesi in cui la violazione delle misure di
contenimento costituisce reato.
Secondo i commi 6 e 7 del citato art. 4, D.L. n. 19/2020, infatti, la condotta delle persone
sottoposte alla misura della “quarantena”, perché risultate positive al virus, che violino l’assoluto
divieto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora, salvo che il fatto costituisca violazione
dell’articolo 452 C.P. o comunque più grave reato, è punita ai sensi dell’art. 260 del regio decreto
27 luglio 1934, n. 1265 (Testo unico delle leggi sanitarie), che prevede la pena dell’arresto da 3
mesi a 18 mesi e con l’ammenda da euro 500 ad euro 5.000 (come prontamente modificato
dal successivo comma 7 dell’art. 4 D.L. 19/2020).
Si deve però osservare che, attesa la portata generale che ha ab origine il reato previsto
dall’art. 260 R.D. n. 1265/1934 (che sussiste di per sé, a prescindere dal richiamo operato dal D.L.
n. 19/2020), non si può escludere che lo stesso possa essere addebitato anche alla persona che
non è sottoposta alla misura della quarantena.
L’art. 260 del R.D. n. 1265/1934, infatti, stabilisce che “Chiunque non osserva un ordine
legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo è
punito con l’arresto da 3 mesi a 18 mesi e con l’ammenda da euro 500 ad euro 5.000”. Dal canto
suo l’art. 650 C.P. prevede che “Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato
dall’Autorità per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene, è
punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino
a 206 euro”.
Del resto, a proposito del rapporto tra detti reati, la Suprema Corte ha precisato che l’art.
260 del R.D. n. 1265/1934 “presuppone un pericolo concreto e attuale di diffusione delle malattie
infettive”, mentre l’art. 650 C.P. ha “natura sussidiaria”, limitandone l’area di applicabilità ai casi di
inottemperanza dei provvedimenti contingibili e urgenti adottati extra ordinem dal Sindaco quale
ufficiale del Governo, ai sensi dell’art. 38 comma 1 legge 142/1990. (Cass. Pen. Sez. I, 6/7/2000
n. 8578)
La fattispecie di cui all’art. 260 del R.D. n. 1265/1934 è norma che mira a prevenire
l’insorgenza o a impedire la diffusione di una malattia infettiva ed ha natura di reato
contravvenzionale, con la conseguenza che l’elemento soggettivo richiesto non distingue tra dolo
e colpa. Diversamente dalla contravvenzione prevista dall’art. 650 C.P., però, la sanzione irrogata
dall’art. 260 (l’arresto da 3 a 18 mesi e con l’ammenda da euro 500 ad euro 5.000) è sensibilmente
più elevata e non è oblazionabile, in quanto la pena detentiva e quella pecuniaria sono previste
in via cumulativa e non alternativa.
Pertanto, considerato che il comma 1 del citato art. 4 del D.L. n. 19/2020 si limita a
paralizzare l’applicabilità della sola fattispecie di cui all’art. 650 C.P., senza escludere però quella
sottesa dall’art. 260 R.D. n. 1265/1934, quest’ultima contravvenzione potrebbe così essere
contestata in via del tutto autonoma anche alle persone non sottoposte alla quarantena che
violino le altre misure di contenimento. Ciò detto, si auspica che in sede di conversione il
Legislatore possa intervenire per colmare la lacuna.
In ogni caso, vista l’esplicita dizione “Salvo che il fatto costituisca reato”, parrebbe esclusa la
possibilità di veder comminata per un unico fatto una duplice sanzione, prima amministrativa e
poi penale.
Ad ogni buon conto, al netto delle riserve sopra esposte, a parere di chi scrive la riforma
proposta (che dovrà essere comunque convertita in legge entro 60 gg, pena la perdita di
efficacia) presenta connotati in chiaro-scuro, perché se per un verso la via della depenalizzazione
può effettivamente condurre alla dissuasione del cittadino senza arrivare a pregiudicarne la
fedina penale, invece sul fronte “garantistico” l’accertamento del fatto e l’irrogazione della
sanzione amministrativa si formano al di fuori della più completa tutela difensiva che il
contraddittorio delle parti e un giudice terzo avrebbero garantito con maggiore efficacia e che,
in questo caso, risulta meramente eventuale e comunque successiva all’irrogazione della
sanzione stessa.
Padova, 31 marzo 2020
Avv. Massimo Zuolo